XIII. 18 ottobre
Teodora Grano:
SUB-POST-TRACTATUS del 18 OTTOBRE 2021
Note critiche dall’interno
Nessuno mai chiederà articoli di critica a quelli che fanno parte degli spettacoli.
Quindi in questa fanzine che ancora non esiste io scrivo questo articolo di critica interiore.
Gli articoli di critica degli spettacoli sono in mano a chi guarda e vede una versione del tutto, rigorosamente da fuori e rigorosamente educati alla filologia e all’analisi della visione.
Gli articoli di questa fanzine invece sono scritti da dentro, sono gli articoli che scriverebbero gli spettatori ciechi, gli abitanti del sottosuolo.
Dimostrano sfrontati che stare dentro le cose non offre un punto di vista soggettivo né accurato. Chi scrive da dentro sa perfettamente di non sapere nulla.
Noi offriamo una visione iper claustrofobia che fa della parzialità un assoluto deflagrante.
Il dentro è la dimostrazione dell’essere ignari. È la matematica del nulla.
“Trust the process maddaffacckka.”
È frase che ho ripetuto a me stessa ogni volta che mi sono ritrovata persa negli eventi della notte. Quelle notti in cui sei fuori casa e gli eventi prendono il sopravvento. The process è la porzione di spazio tempo in cui non sei capace di dimostrare la realtà di ciò che ti sta succedendo, ma hai piena coscienza del fatto che sta succedendo.
Se fossi fuori scriverei che come creatrice, l’habitat di Francesca Pennini è il margine. Non il margine della danza o il confine tra danza e performance, ma il margine stesso come zona di indagine, come luogo di estrazione.
Non c’è allusione a una zona di riferimento, non c’è nazionalità né area di appartenenza.
La sua coreografia è quella del bilico. Delle cose pronte a lasciarsi cadere in quel qualcosa di altro.
Ma dal mio antro sotterraneo io dico che Francesca scrive da un mondo alla fine del mondo. La sua danza è la cronaca che scriverebbe un atomo prima della scissione nucleare.
Francesca crea delle miniature di mondi che noi abbiamo abitato da dentro. Il processo che porta alla scena non è mai lo stesso perché quel processo deve essere ogni volta un nuovo mondo.
Non perché noi ci rinnoviamo ma perché lei ci costringe a spostarci altrove.
Non è una forma di bulimia del nuovo è una forma di nomadismo paleolitico.
Quello che crea è il periodo dopo la fine del mondo che vede sorgere il pensiero metafisico, il culto dei morti, il governo del fuoco e le prime forme d’arte ma senza esseri umani come protagonisti.
Le forme di vita che abitano questo mondo sono semplicemente forme di vita. Espanse e indecise.
La tecnica coreografica di Francesca è la decomposizione: ovvero la proliferazione di altre vite che emergono da una carcassa e la relativa mutazione.
Questo lavoro che non è stato chiuso nel tempo che gli era stato dato ha avuto la sorte delle foci a delta dei fiumi o delle strade asfaltate dei luoghi abbandonati e riconquistati dalle piante.
È una sorte insolita per le creazioni. Quella di avere un tempo stabilito e poi un altro tempo oltre quello stabilito. Due tempi di nascita come due gemelli: un tempo doppelganger.
Come se gli fosse stata data una seconda possibilità di nascere dopo essere già nato.
Se avesse debuttato un anno fa sarebbe stato un essere completamente diverso. Io ricordo esattamente la versione dell’ottobre 2020: non somiglia per niente alla versione del 2021 eppure sono praticamente le stesse scene.
l’ ottobre 2020 era una cronologia notturna della decadenza di una casata, l’ottobre del 2021 è la biografia impossibile del disordine genetico delle soffitte.
Mi piacerebbe poter chiudere tutto questo con del materiale conclusivo ma la natura di manifesto cannibale è proprio questa: rifiuta la conclusione come punto fermo.
Manifesto cannibale è tutto quello che esiste durante una conclusione che non arriva mai a concludersi.